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Studio Legale

Il vaccino anti-Covid 19 è implicitamente obbligatorio in Italia?
L'art. 2087 cod. civ. e il T.U. sulla sicurezza sul lavoro impongono al datore l'obbligo giuridico di impedire che chi entra in contatto con l'ambiente lavorativo contragga il Covid-19



In mancanza di una normativa specifica, nessun capo può obbligare un dipendente alla 
vaccinazione anti Covid. Tuttavia, l’azienda potrebbe decidere di sospendere il lavoratore che rifiuta la somministrazione, senza diritto alla retribuzione, per la necessità di garantire la sicurezza, nei confronti del resto del personale. “Il datore di lavoro ha una doppia responsabilità, verso i dipendenti ma anche verso tutti quei soggetti che vengono a contatto con loro, dagli ospedali alle case di riposo, passando per supermercati e aziende di trasporto. La salvaguardia della loro salute è un principio fondamentale di cui l’azienda non si può disinteressare”
La legge di Bilancio 2021 proroga fino al 31 marzo 2021 il divieto di licenziamento in scadenza il 31 gennaio 2021. Il divieto riguarda tutti i datori di lavoro a prescindere dal requisito dimensionale e la sua eventuale violazione comporta la nullità del licenziamento e la reintegra del lavoratore. Rientrano nel blocco le procedure di licenziamento collettivo, i licenziamenti individuali o plurimi per giustificato motivo oggettivo, le procedure di conciliazione obbligatoria per i lavoratori in tutele reali (ante Jobs Act). Quali sono le deroghe previste dal legislatore?
I licenziamenti vietati
La norma prevede il divieto di:
1. avviare le procedure di licenziamento collettivo, previste dagli articoli 4, 5 e 24, della Legge n. 223/1991,
2. concludere eventuali procedure di licenziamento collettivo avviate dopo il 23 febbraio 2020,
3. procedere a licenziamenti individuali o plurimi per giustificato motivo oggettivo,
4. avviare procedure di conciliazione obbligatoria, previste dall’articolo 7 della Legge n. 604/1966, per i lavoratori in tutele reali (ante Jobs Act).
Vediamo quali sono le peculiarità della normativa ed i possibili interventi per 
bypassare il divieto.
Il vaccino anti-covid, qualunque sia il produttore, allo stato, per la sua somministrazione, resta nelle “mani del SSN”, proprio in ossequio ai principi di cui all’
art. 32 della Costituzione e alle norme del d.lgs n. 81/08.
Il lavoratore è tenuto a comunicare al datore di lavoro, una volta che è stato chiamato dal SSN, se si è sottoposto al vaccino.
In caso contrario il lavoratore, se ha rifiutato l’inoculazione, dovrà fornire adeguata documentazione (medica) a comprova dello stato morboso; sicché a nulla rileva essere no-vax, poiché non è una causa di giustificazione.
Al datore di lavoro spetta l’obbligo di inviare il lavoratore a visita medica dal medico competente, il quale, svolte le sue opportune valutazioni, dovrà stabilire se il prestatore è idoneo alla mansione.
In caso di inidoneità alla mansione, quindi, il datore di lavoro valuterà se può adibire il lavoratore ad altre mansioni, e in luoghi dove non può essere esposto al contagio; in mancanza potrà procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro.
Il vaccino di fatto è obbligatorio, a meno che non si abbiano delle limitazioni di carattere medico?
Basta forse un esempio a chiarire la tesi: faccio il caso della grande catena di distribuzione al dettaglio di abbigliamento che, in un suo p.v., ha un lavoratore che non può sottoporsi al vaccino per questioni mediche; in questo caso il datore di lavoro, invece di licenziarlo, ha legittimamente scelto di impedire a chi non è vaccinato, una volta terminata la campagna di inoculazione, l’ingresso nel suo punto vendita; oppure penso alle compagnie aeree, o in generale di trasporto (mare, terra, rotaia), che impediranno, legittimamente, a passeggeri sprovvisti del certificato di vaccinazione di accedere ai mezzi di straporto; i lidi balneari lo stesso, i villaggi, gli alberghi, ecc.
Insomma, il vaccino nei fatti lo diventerà se non lo è già diventato per alcune categorie (medici, infermieri e operatori socio-sanitari) nei confronti delle quali il datore di lavoro, pubblico o privato, dovrà agire prontamente sul piano disciplinare.
Da più parti in questi giorni, dopo che sono arrivate finalmente le prime dosi di vaccino, la comunità scientifica, politica ed in generale tutta la Nazione si è posta la domanda se l’inoculazione debba essere obbligatoria per tutta la popolazione o, almeno, per parte di essa.
La domanda è lecita, ancorché etica, e si pone sul piano giuridico sul duplice aspetto del rispetto dell’inviolabilità della libertà personale (
art. 13 Cost.) e del diritto alla tutela della salute (art. 32 Cost.).
Tali aspetti, come è noto, sono stati affrontati anche da normative sovranazionali che confermano che gli interventi di profilassi contro malattie infettive e diffusive devono soggiacere a limiti come quelli derivanti dalla necessità di tutelare la vita, l’integrità psico-fisica, la dignità umana e la riservatezza.
A tal riguardo, gli artt. 1 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea garantiscono la dignità umana e l’integrità fisica e psichica di ciascun individuo, nonché (art. 3, comma 2) il rispetto del consenso libero e informato della persona in ambito medico e biologico; l’art. 8, comma 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali, che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare; l’art. 24 della Convenzione sui diritti del fanciullo, tutela la salute dei minori e garantisce l’accesso ai servizi medici; gli artt. 5, 6 e 9 della Convenzione sui diritti umani e la biomedicina, di cui il primo (art. 5) sancisce come regola generale la necessità del consenso libero e informato dell’interessato ai trattamenti sanitari; l’art. 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che di fatto tutela anch’esso il diritto alla libertà personale, anche in materia sanitaria.
Svolta questa breve premessa normativa, essenziale per comprendere da dove si generano i dubbi, è opportuno evidenziare come la nostra Carta fondamentale ponga dei precisi limiti al diritto di autodeterminazione dell’individuo, definendo con precisione quella “sottile linea rossa” che delimita la libertà individuale dalla salute collettiva.
Ed infatti, l’art. 32 comma 2 Cost. individua in modo puntuale i profili del diritto alla salute che possono essere ricondotti da un lato al concetto di libertà di scelta terapeutica e di rifiuto delle terapie, dall’altro al campo dei c.d. trattamenti sanitari obbligatori.
In altri termini, il diritto di rifiutare le terapie (i vaccini nella fattispecie) è quel risvolto negativo, quella piega, del diritto alla salute, che il Costituente del 1948 ha esplicato con “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge”.
Sembrerebbe, quindi, che anche la legge non possa “violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Dunque, apparrebbe che il legislatore Costituente abbia voluto dare priorità al diritto all’autodeterminazione individuale in campo medico, salvo poi i casi tassativi ed eccezionali prescritti dalla legge, attraverso i quali il medico può, e direi deve, intervenire senza il consenso o malgrado il dissenso del malato/cittadino.
Orbene, da questa prima breve analisi sembrerebbe che, anche alla luce della sentenza di Norimberga del 1948, nessuno Stato, neanche l’Italia, possa imporre il vaccino anticovid-19 come obbligatorio.
Ma questo, a modesto avviso di chi scrive, non risulta vero sulla base delle considerazioni che seguono.
L’
art. 1 della Costituzione dispone che << L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione>>.
Il primo comma evidenzia come tutto il costrutto sociale e democratico della Repubblica Italiana è fondata sul principio lavorista e sulle norme che vi danno attuazione: uguaglianza dei lavoratori, non discriminazione, una retribuzione sufficiente e proporzionata alla quantità ed alla qualità della prestazione resa (
art. 36 Cost. e 2099 cod. civ.), obbligo del datore di lavoro di tutela del lavoratore.
In particolare, l’
art. 2087 cod. civ. dispone che “l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”; sicché in combinato disposto con il d.lgs n. 81/08 (Testo Unico in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro) obbliga il datore di lavoro a tutelare i lavoratori sia per ciò che attiene la salute, sia per quanto attiene la sicurezza nei luoghi di lavoro.
Il datore di lavoro deve predisporre:

  • la valutazione dei rischi e l'elaborazione del Documenti di Valutazione dei Rischi (c.d. DVR, art. 28 T.U.);

  • la designazione dell'RSPP.

Il datore di lavoro deve, altresì, effettuare la programmazione delle misure di prevenzione (successivamente alla predisposizione del documento di valutazione dei rischi), la nomina del medico competente per la sorveglianza sanitaria in azienda e la gestione delle emergenze.
Il datore di lavoro deve, quindi: “effettuare la valutazione dei rischi derivanti dall'esposizione agli agenti biologici presenti nell'ambiente” (art. 282, commi 1 e 2, lett. a), d.lgs. n. 81 del 2008); “informare i lavoratori circa il pericolo esistente, le misure predisposte e i comportamenti da adottare” (art. 55, comma 5, lett. a), d.lgs. n. 81 del 2008); «fornire i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale» (art. 55, comma 5, lett. d), d.lgs. n. 81 del 2008); «richiedere al medico competente l'osservanza degli obblighi previsti a suo carico» (art. 55, comma 5, lett. e), d.lgs. n. 81 del 2008); «richiedere l'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione»; programmare gli interventi da attuare «in caso di pericolo immediato» (art. 55, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 81 del 2008). In caso, poi, di affidamento di lavori a un'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda, «cooperare nell'adozione di misure di prevenzione e protezione dai rischi» e «coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori» (art. 55, comma 5, lett. d), d.lgs. n. 81 del 2008).
L'omissione di tali diligenze e doveri configura, in capo al datore di lavoro, la violazione delle norme previste dal T.U. 81/2008, che potranno eventualmente costituire profili di colpa specifica in caso di contaminazione di soggetti entrati in contatto con l'ambiente lavorativo.
In forza di tali disposizioni, il legale rappresentante della società assume la posizione di garante della sicurezza, ovvero di soggetto tenuto a dominare una fonte di pericolo per la tutela dei beni da questa pregiudicabili, quali che siano i titolari.
In buona sostanza, l'amministratore diviene destinatario dell'obbligo giuridico di impedire che chi entra in contatto con l'ambiente lavorativo contragga il Covid.
Dal mancato rispetto di tale obbligo può discendere, in forza della cosiddetta clausola di equivalenza, di cui all'
art. 40, comma 2, c.p., una responsabilità penale per le fattispecie di omicidio colposo e lesioni personali colpose, di cui agli artt. 589 e 590 c.p., commesse in violazione della normativa a tutela dell'igiene e della sicurezza sul lavoro.
Quindi, il datore di lavoro deve anche provvedere alla protezione dei soggetti c.d. “deboli” che operano nella sua azienda e mettere a disposizione del lavoratore tutti i presidi medici atti a prevenire l’infezione da Covid, ovvero di rischio biologico e batteriologico, così come disposto dagli artt. 266 ss del d.lgs. n. 81/08.
Tutta questa elencazione di norme e comportamenti positivi del Datore di lavoro comporta ai sensi dell’art. 279 del citato T.U. che << 1. Qualora l’esito della valutazione del rischio ne rilevi la necessità i lavoratori esposti ad agenti biologici sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41. 2. Il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione, fra le quali: a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente; b) l’allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedure dell’articolo 42…>>.
L’articolo 279 è inserito nel titolo X Capo III del d.lgs n. 81/08, che ha valore nei confronti di tutti i lavoratori, sia pubblici che privati e nessuna categoria esclusa, laddove per gli addetti ad attività di carattere sanitario vi è lo specifico Titolo X bis, che è ancor più stringente.
In ogni caso, ai sensi dell’art. 42 TU, il lavoratore che contrare il Covid 19 deve essere allontanato dal luogo di lavoro, poiché inidoneo alla mansione se prescritto dal medico competente, così come previsto nel protocollo condiviso INPS – INAIL Governo e parti sociali di aprile 2020, che altro non è che una specificazione delle norme su menzionate, con l’esclusione dell’automatismo della responsabilità “oggettiva” del datore di lavoro, trovandosi in situazione di pandemia e non di epidemia.
Proprio perché si tratta di pandemia, ed in un momento dove i diritti fondamentali della persona sono tutti attenuati in favore del diritto supremo alla saluta ed alla lotta al Covid 19, dal punto di vista di chi scrive il rifiuto del lavoratore, non supportato da valutazione medica ma solo per “spirito no-vax”, a sottoporsi a vaccino equivale a gravissima violazione del T.U. d.lgs n. 81/08 e delle norme contrattuali e legali che devono presiedere la prestazione lavorativa.
In altri termini, ferma la citata possibilità di cui all’art. 42 del T.U. che il lavoratore sia dichiarato inidoneo alla mansione, il datore di lavoro può, anzi deve, adottare la procedura di cui all’art. 7 dello Statuto dei lavoratori (sia pubblici che privati), ovverosia procedimento disciplinare, con tutte le guarentigie del caso ed adottare sempre la sanzione espulsiva immediata senza preavviso.
Ed infatti, le violazioni in cui incorre il lavoratore in caso di rifiuto della vaccinazione immotivato sono sia di carattere contrattuale, nei confronti del datore di lavoro, sia di carattere generale, in ragione di una lettura costituzionalmente orientata della disposizione (alla luce dell’ultimo capoverso dell’art. 32 Cost), tanto da poter astrattamente configurare anche ipotesi di reato.
Orbene, potrebbe essere obbiettato che <<…nel caso del vaccino anti-Covid non spetta al datore di lavoro la somministrazione del vaccino, ma – come prevede il piano vaccinale predisposto dal Governo – tutta la procedura è in mano alle autorità sanitarie (e il vaccino non è inserito tra quelli obbligatori). Il secondo aspetto che trascura questa tesi è che nessun cittadino (e quindi neanche i lavoratori) è attualmente tenuto a dichiarare pubblicamente (tantomeno al proprio datore di lavoro) se ci si è sottoposti alla vaccinazione anti-covid.>>; tesi sostenuta da www.open.online in un articolo del 25/12/2020 dal titolo “Non si può licenziare il dipendente che rifiuta di vaccinarsi”, in risposta ad un’intervista al PM Guariniello.
Dal punto di vista di chi scrive, anche se il piano vaccinale è “nelle mani dello Stato” ed il datore di lavoro è avulso dalla procedura, la posizione sopra richiamata non è condivisibile.
Anche se il vaccino resta, per la sua somministrazione, nelle “mani del SSN”, proprio in ossequio ai principi di cui all’art. 32 della Costituzione e alle norme del d.lgs n. 81/08, il lavoratore è tenuto a comunicare al datore di lavoro, una volta che è stato chiamato dal SSN, se si è sottoposto al vaccino. In caso contrario il lavoratore, se ha rifiutato l’inoculazione, dovrà fornire adeguata documentazione (medica) che ne attesti l’impossibilità della somministrazione, non rilevando questioni di privacy, trovandoci in emergenza sanitaria che giustifica temporanee limitazioni anche di alcune liberta fondamentali in favore della tutela collettiva della salute; sicché a nulla rileva essere no-vax, come detto.
Al datore di lavoro spetta l’obbligo di inviare il lavoratore a visita medica dal medico competente, il quale, svolte le sue opportune valutazioni, dovrà stabilire se il prestatore è idoneo alla mansione.
In caso di inidoneità alla mansione, quindi, il datore di lavoro valuterà se può adibire il lavoratore ad altre mansioni, e in luoghi dove non può essere esposto al contagio; in mancanza potrà procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro.
Bene, perché sostengo che il vaccino di fatto è obbligatorio per tutta la popolazione a meno che non si abbiano delle limitazioni di carattere medico?
Basta forse un esempio a chiarire la tesi: faccio il caso della grande catena di distribuzione al dettaglio di abbigliamento che, in un suo negozio, ha un lavoratore che non può sottoporsi al vaccino per questioni mediche; in questo caso il datore di lavoro, invece di licenziarlo, ha legittimamente scelto di impedire a chi non è vaccinato, una volta terminata la campagna di inoculazione, l’ingresso nel suo punto vendita; oppure penso alle compagnie aeree, o in generale di trasporto (mare, terra, rotaia), che impediranno, legittimamente, a passeggeri sprovvisti del certificato di vaccinazione di accedere ai mezzi di trasporto; i lidi balneari lo stesso, i villaggi, gli alberghi…
Insomma, seppur si vuole sostenere che il vaccino non può essere dichiarato obbligatorio, nei fatti lo diventerà se non lo è già diventato per alcune categorie (medici, infermieri e operatori socio-sanitari) nei confronti delle quali il datore di lavoro, pubblico o privato, dovrà agire prontamente sul piano disciplinare.
In altri termini chi non vorrà vaccinarsi, quindi con espressa esclusione delle categorie che a cui l’inoculazione è impossibile per motivi di salute, verrà automaticamente ghettizzato dalla società, o meglio dal tessuto economico sociale.
La pandemia ha sconvolto le nostre vite negli ultimi dieci mesi e produrrà i suoi effetti anche nei mesi e anni a seguire, il che determina la necessità che tutti adottino un comportamento virtuoso anche in termini di accettazione dei rischi che i vaccini potrebbero comportare – ricordo che nessun vaccino per qualsivoglia malattia è privo di rischi – laddove i benefici sono superiori agli effetti collaterali in termine di percentuale.
E così se tutti noi non adottiamo un po' di buonsenso, di senso civico ed evitiamo inutili partigianerie, che di fatto non faranno altro che acuire le disparità socio culturali ed economiche, forse e dico forse ne potrebbe uscire una società migliore, provata nell’animo ma certamente più coesa.

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